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Un’altra missione è stata archiviata, portata a termine con successo. A Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, tutto è andato secondo programma: la postazione di telemedicina è stata revisionata, la formazione del personale addetto completata e gli onori resi al caro amico congolese Floribert Bwana Chui. Aveva 26 anni quando, nel 2007, venne ucciso per aver resistito a un tentativo di corruzione. Membro attivo della locale Comunità di Sant’Egidio, venne rapito, torturato, strappato alla vita. L’8 luglio data della sua morte è diventato il giorno della sua festa nel calendario della Chiesa. La sua testimonianza di martire della giustizia sociale, infatti, è stata talmente fulgida da essere riconosciuta motivo di Beatificazione. Il 15 giugno scorso Papa Leone XIV lo ha proclamato beato.

A Kinshasa il dottore Fulvio Erba biochimico, professore alla facoltà di Medicina dell’Università di Torvergata a Roma, membro della Comunità di Sant’Egidio, ha vestito i panni di “tecnico-esperto” di Global Health Telemedicine, ma ha anche potuto ribadire la sua infinita stima proprio per Floribert, l’amico che non c’è più ma la cui presenza si avverte ancora nell’aria, indicando la strada della giustizia e della solidarietà come strumento per elevare la vita di ogni essere umano.

Accompagnato dalla moglie, Cristina Moscatelli, medico d’emergenza, in terra africana il dottore Erba ha ritrovato i colori, gli umori, le passioni, le aspettative di un popolo umile che, nonostante tutto, guarda al futuro col sorriso e con nel cuore la speranza di giorni migliori.

<<Ogni volta che torno in Africa per occuparmi della gestione dei centri di telemedicina di GHT – racconta – ritrovo un mondo affascinante, abitato da persone che hanno dipinta negli occhi la meraviglia, la curiosità. Persone con un modo di essere e di vivere contagioso. Mi stupisce la semplicità e la determinazione con cui affrontano una quotidianità spesso affatto semplice. Questi popoli hanno tutta la mia ammirazione, la mia vicinanza. Anche per questo motivo tutte le volte che si rende necessario sono pronto a fare la mia parte. Ovunque serva porto volentieri la mia esperienza, certo di ritornare a casa arricchito di umanità e con la gratitudine di chi sa dire grazie col cuore per quello che riceve>>.

L’ennesima missione operativa di Fulvio Erba aveva come target di riferimento la postazione di telemedicina installata nel centro intitolato a Floribert Bwana Chui.

<<Monitorare il funzionamento della strumentazione era il mio obiettivo prioritario. Ho trovato delle cose che non andavano ma sono riuscito a renderla operativa al meglio delle sue possibilità tecniche. Nell’occasione ho rimesso ordine, riattivandoli i protocolli da seguire per l’invio dei contenuti verso il resto del mondo e, allo stesso tempo, ho curato la formazione di due medici e di un addetto ai fini del corretto utilizzo del software di funzionamento. A Kinshasa la postazione è attiva oramai da una decina di anni però è sempre opportuno verificare se tutto procede bene e provvedere alla sostituzione dei pezzi usurati se non addirittura fuori uso. Gli elettrodi dell’elettrocardiografo, per esempio, non andavano più bene e, in un Continente enorme come l’Africa, dove le esigenze sono infinite e le possibilità di potersi curare poche, a volte sono i piccoli interventi a fare la differenza>>.

Così come possono fare la differenza le attrezzature che, sfruttando la tecnologia, sono in grado di migliorare sensibilmente i servizi offerti. In centri del genere è manna che scende dal cielo l’attivazione di un elettrocardiografo delle dimensioni di un cellulare, in grado di collegarsi via “bluetooth” a una piattaforma dedicata, con il nucleo centrale costituito da un apparecchio dotato di webcam per l’invio di immagini ad alta risoluzione, più un apparato per illuminare le radiografie.

<<GHT sta facendo un grande lavoro. Personalmente sono felice di poter mettere le mie conoscenze a disposizione di questo importante progetto di telemedicina. Quando arrivi in posti dove persino l’assistenza sanitaria di base risulta impossibile per mancanza di personale medico ma anche di strumentazioni idonee, allora ti rendi conto che la Global Health Telemedicine sta facendo una meritoria opera umanitaria e di giustizia sociale. La stessa giustizia sociale di cui ha parlato la vita del mio caro e compianto amico Floribert Bwana Chui. Se ho sempre mille motivi che mi spingono ad andare in missione, stavolta ne ho avuto uno in più. E tra l’altro era un motivo importantissimo: commemorare un uomo che con la sua giovane vita ha testimoniato la fedeltà a valori importanti, richiamando all’impegno per la promozione della vita umana. Un giovane uomo che la Chiesa universale ha indicato come Beato, ovvero un esempio da seguire. Essere stato nella sua terra il giorno in cui si è celebrata la sua festa è stato per me motivo di forte emozione e, allo stesso tempo, di gioia. Sentimenti condivisi con mia moglie, anche lei sempre pronta a mettere a disposizione le sue competenze per aiutare chi ne ha bisogno>>.

La missione nella Repubblica Democratica del Congo è stata l’ennesima tappa di una lunghissima serie di viaggi. Fulvio Erba è stato in Perù, in Amazzonia, in undici Paesi dell’Africa. Ovunque ha trovato diffidenza iniziale seguita da accoglienza sincera.

<<Viaggiando ho avuto modo di conoscere tantissime persone e vivere le situazioni più disparate. Ogni volta le dinamiche si ripetono, con una fase iniziale in cui siamo guardati come fossimo soggetti strani, per poi passare, una volta rotto il ghiaccio e lanciato ponti di relazioni, a rapporti di vera amicizia. Probabilmente è questo uno degli aspetti più belli del mio girovagare per il mondo. È esattamente il momento in cui viene compreso lo spirito con cui ci muoviamo e si aprono le porte a rapporti di affetto, amicizia rispetto>>.

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Un nuovo centro di telemedicina in Africa. Un altro tassello nel mosaico delle iniziative finalizzate a offrire teleconsulti multispecialistici che sta componendo GHT. È stato aperto a Dassa-Zoumé, città del Benin, presso il Centro di cura “Oasi d’amore - San Camillo de Lellis” di Grégoire Ahongbonon, conosciuto in Italia come il Basaglia del Continente africano. Una donazione di Giorgio Meneschincheri, presidente di “Tennis & Friends” ha consentito di dotare la postazione del necessario per poter entrare subito in funzione. In effetti così è stato. Nella prima giornata, infatti, sono stati richiesti una decina di teleconsulti: l’invio degli elettrocardiogrammi e degli esami radiologici e dermatologici che erano stati eseguiti sui primi pazienti presi in cura, ha ufficialmente dato il via alla connessione del Benin con tutti i medici della rete di Global Health Telemedicine.

Come prassi prevede, una tabella è stata affissa all’ingresso per ricordare la data dell’avvenimento e il nome delle realtà che lo hanno reso possibile, ma il senso più profondo dell’esperienza è possibile coglierlo all’interno del centro stesso, dove, nei giorni immediatamente precedenti all’inaugurazione, erano state collocate le attrezzatture necessarie all’avvio del servizio.

Il centro è stato inaugurato nella giornata di mercoledì 9 aprile con una cerimonia semplice ma dal profondo significato. Erano presenti il fondatore di Ght, Michelangelo Bartolo e il Direttore generale dell’Asl Roma1, Giuseppe Quintavalle, uno psichiatra particolarmente sensibile al disagio mentale. Quest’ultimo ha usato parole di apprezzamento per l’opera svolta da Grégoire che, con la sua organizzazione benefica, inizialmente nata per prendersi cura malati di Aids e rifugiati, a partire dal 1993 ha aperto diversi centri di accoglienza e cura per la tutela della salute mentale.

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Rimini è la città dove vive e il Centro Grandi Ustionati Bufalini di Cesena la realtà sanitaria in cui opera ma il mondo della dottoressa Silvana Trincone travalica confini e steccati. La consapevolezza che fare il medico sia una missione da interpretare a tutto tondo, con lo sguardo rivolto soprattutto a povertà e fragilità, l’ha spinta a mettere la sua esperienza di Dermatologa al servizio di Global Health Telemedicine. Tra docenze nei corsi di formazione tenuti in Malawi e Mozambico e teleconsulti, la sua appartenenza all’associazione nata nel campo della cooperazione internazionale, per realizzare ponti tra il nord e il sud del mondo, offrire consigli diagnostici e terapeutici a migliaia di teleconsulti provenienti da decine di centri sanita sparsi nei luoghi più disagiati del pianeta, può considerarsi totale.

Ne condivide la filosofia, ne sostiene gli aneliti e per questo, oramai da circa quindici anni, ha scelto di donare il suo tempo e le sue energie per lenire le sofferenze e curare gli ammalati con patologie che afferiscono al suo campo di specializzazione. Una decisione che profuma di altruismo e riconoscenza alla vita che, in un grande Paese come l’Italia, concede a chi osa, s’impegna e lavora sodo la possibilità di crescere a livello professionale.

La dottoressa Silvana Trincone ha uno spirito indomito e un animo nobile che la spingono a essere operativa, disponibile, pronta a vestire il camice bianco foss’anche per un teleconsulto. Quando parla della sua esperienza in Africa più che evidenziare la qualità e la quantità di cosa che è riuscita a dare, volentieri si sofferma su quanto ha fin qui ricevuto. <<Ogni volta che ne ho l’opportunità – dice – torno volentieri in Africa, un continente speciale che ti prende il cuore e di cui sono innamorata. Ho ancora negli occhi la mia prima esperienza da medico, ero decisamente più giovane e quello che ho visto ha subito fatto breccia dentro di me. Le condizioni in cui si opera non sono paragonabili neppure lontanamente alle nostre e quando prendi atto di ciò, quando ti rendi conto che puoi fare tanto per aiutare a guarire chi sta male per patologie altrove curabilissime, allora ti rendi conto che non puoi stare a guardare. La scelta di impegnarmi con GHT è stata una questione etica, a cui non mi sono sottratta. Più egoisticamente posso dire di avere imparato tantissimo, di avere ricevuto molto in termini di crescita personale, per il mio modo di fare, su come confrontarmi col mondo, ma anche a livello lavorativo ho appreso tanto. Per me l’Africa è stata un’esperienza formativa formidabile anche perché vedi le cose da una prospettiva unica>>.

Fare medicina con il poco disponibile è la scommessa delle scommesse. In Africa le certezze sono eccezioni e fornire risposte anche a patologie facilmente curabili diventa esercizio difficile al massimo. <<Fare medicina con quello che si ha, nel mio caso fare dermatologia con quello che c’è a disposizione, è un esercizio che richiede sforzi non indifferenti. In Italia per esempio, se mi ritrovo davanti a un neo sospetto posso decidere di fare una biopsia e muovermi di conseguenza. In Africa, invece, si sviluppa una grande elasticità che ti spinge a utilizzare quello che c’è, sia quando sei in presenza, sia quando sei chiamato per un teleconsulto. Con GHT fortunatamente abbiamo quantomeno il vantaggio di avere disponibile uno specchietto nella piattaforma utilizzata per i teleconsulti, che elenca i farmaci disponibili in ogni ambulatorio. Sappiamo dov’è, se è dentro un ospedale e quali farmaci ci sono a disposizione. Un aspetto non di poco. Per tutto il resto, come dicevo, ci vuole una buona dose di elasticità mentale>>.

Africa è povertà e ricchezza allo stesso tempo. È felicità contagiosa, asprezza e difficoltà. Africa è colore, calore, umanità, riconoscenza. Dentro questo mondo meravigliosamente variegato ci sono degli affreschi di vita che ti restano nel cuore. <<Tra le tante esperienze fatte, conservo il ricordo di una ragazzina di 13 anni, sieropositiva, arrivata nel centro nutrizionale della capitale del Malawi, dove mi trovavo, con un problema che aveva poco di dermatologico ma condizionava e non poco la vita: una infezione da tigna al cuoio capelluto. Per lei era uno stigma ingombrante. Era uno stato molto frustrante perché sapeva di non poter avere un fidanzatino. Pian piano sono riuscita a guarirla e per lei è stata una grande liberazione. Porto nel cuore anche la storia di un ragazzino di 14 anni che viveva per strada dopo essere andato via di casa perché non voleva pesare sulla mamma. Aveva un eczema con pelle secca. Lo visitai, gli diedi una pomata ma non voleva andare via. Gli donai delle creme per curarsi ma non ne voleva sapere di andarsene. Allora lo portai nella casa dove abitavo, lo feci sedere a tavola e gli diedi da mangiare ma lui, per la grande emozione, non riuscì a portare cibo alla bocca. Ebbi modo di conoscere la sua storia e riuscii ad aiutare la sua mamma, tanto che tornarono a vivere assieme. Prima di partire lungo la strada, all’alba, vidi un ragazzino che si sbraciava per salutarmi. Era lui e quello fu il suo modo semplice ma di grande impatto emotivo per sdebitarsi>>.

Nel futuro della dottoressa Silvana Trincone ci sarà ancora l’Africa. <<Spero di poterci tornare presto, di poter continuare a rendermi utile, di poter formare ancora personale motivato e assetato di sapere, com’è stato nei posti dove sono già stata. È una missione a cui non intendo sottrarmi almeno fin quando ne avrò la possibilità>>.

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